Gesù come risposta alle attese messianiche
Quando gli Ebrei parlavano di un Messia, attendevano un consacrato di un’unzione speciale, un liberatore e padre del popolo, un vero sovrano che avrebbe garantito pace sulla terra, finalmente liberata da nemici ed invasori. Effettivamente il Nazareno riassume in sé tutte le caratteristiche della consacrazione: egli è effettivamente sacerdote, re e profeta, ma in un modo del tutto nuovo.
a) Gesù è il Messia regale
Nel NT il linguaggio della regalità di Cristo compare in alcuni punti specifici dei vangeli. Per la prima volta nei vangeli dell’infanzia. La visita dei Magi a Betlemme, patria del re Davide, è tutta all’insegna della regalità di questo Bambino, “Dov’è il re dei Giudei che è nato?” (Mt 2,2). Che Gesù fosse discendente di Davide è ricordato nel vangelo dell’infanzia secondo Luca (“il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”, Lc 1,32) e secondo Matteo che fa sua la profezia di Michea 5,1 “E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda; da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele”.
Ma come Gesù concepisce e presenta il suo essere re? La sua è un tipo di regalità che non si attaglia alle attese dei Giudei. Alcuni episodi contenuti nei vangeli sono chiarificatori in questo senso: dopo la moltiplicazione dei pani, racconta l’evangelista Giovanni, che la gente cerca Gesù per rapirlo e farlo re, tanto che egli deve nascondersi per sottrarsi a loro (Gv 6,14-15). E’ anche costretto a correggere la loro concezione messianica “Voi mi cercate…perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna” (Gv 6,26-27). Gesù, dunque ha di sé una coscienza messianica ben diversa. Quale figura di Messia regale presenta? Ne offre due immagini molto chiare: la prima riguarda il suo ministero terreno e l’altra la sua gloria celeste. E’ molto significativo che il grosso del vocabolario della regalità riguardo a Gesù compaia nei racconti della passione in tutti e quattro i vangeli (in Giovanni, nello spazio di un capitolo compare una decina di volte, Gv 18,33-19,21) soprattutto nel processo davanti a Pilato. Perché proprio nei racconti della passione? L’intero vangelo di Marco può considerarsi una risposta a questa domanda. L’evangelista Marco costruisce tutto il suo vangelo su quello che gli studiosi chiamano “il segreto messianico”: Gesù, nonostante tutti i miracoli che compiva, proibiva di esaltare la sua potenza e di divulgare la sua fama e la sua identità (Mc 1,24-25.40; 3,11; 5,40; 7,36; 9,9; 8,29).
Perché questa proibizione? Perché c’è il rischio del fraintendimento della sua natura messianica in senso socio-politico.
Gesù pone una coscienza messianica diversa, infatti proibisce anche agli apostoli di parlare, dopodiché parla di una fine scandalosa (Mc 8,30-33; 9,30-32; 10,32-34). Il Maestro risponde ai figli di Zebedeo, che gli chiedono un posto di privilegio nel suo Regno, con la teologia della sofferenza e con il servizio dei capi ed è talmente perentorio in questo che, quando scopre in Pietro una teologia diversa, reagisce chiamandolo “satana”. C’è dunque uno scontro tra due concezioni messianiche diverse. L’idea di fondo che guida il messianismo di Gesù è agli antipodi della concezione comune, infatti si impernia non sul successo, che era quanto gli apostoli da bravi ebrei credevano e desideravano, ma sull’insuccesso. E’ significativo che chi ha una concezione del genere non regga nel momento della prova (“Tutti allora, abbandonandolo fuggirono”, Mc 14,50). Chi riesce a riconoscere la vera identità di Gesù? Gesù è appena morto e il centurione esclama “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio!” (Mc 15,39). La teologia messianica di Gesù è la teologia della croce (questo sarà anche uno dei grandi temi della teologia paolina). Questa caratteristica evangelica ha delle conseguenze enormi: solo la sequela del crocifisso caratterizza il cristiano e solo una chiesa che batte questa strada è la Chiesa di Gesù. Allora si comprende perché i discepoli non capiscono nulla, perché la conversione a questo non è mai fatta.
La discendenza davidica del Messia ritorna con particolare insistenza nei racconti di dispute con le autorità religiose del tempo (Mc 12,35-37; Mt 22,41-46). Anche qui Gesù corregge una visione non esatta di questa discendenza regale: Egli è qualcosa di più che figlio di Davide, perché Davide stesso lo chiama Signore.
La dignità regale del messia è dunque trasferita ad un piano superiore, spirituale, non è il comodo personaggio che esercita un potere umano ed esaudisce desideri materiali. Questo appare in tutta la sua pienezza durante il processo di Gesù davanti al sinedrio. Al sommo sacerdote che gli domanda “Dicci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” Gesù non solo risponde affermativamente, ma propone un’immagine biblica veterotestamentaria “vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, venire sulle nubi del cielo”. (Mt 26,63-64). E’ un’immagine di Daniele che (Dn 7,9-14) vede il trono dell’Altissimo e uno simile a un figlio d’uomo che da Lui riceve potere, gloria e regno. L’Apocalisse userà le stesse immagini per descrivere la divinità del Cristo Risorto (Ap 1.4-5). (CONTINUA)
Laila Lucci,
Bible Teacher and professor of Hebrew Bible and S. Writing at the ISSR Rimini is the author of several essays and books, among whic are included: Witnesses of the Risen.
Paths of Lucan pneumatology, Pazzini, Verucchio (RN) 2007
Commentary to exegetical-theological “Wisdom Books” in The Bible VVV, S. Paul, Cinisello Balsamo 2009;
Introduction, translation and commentary on Joel, S. Paul (NVAT), Alba 2011;
Introduction, translation and commentary on Amos
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